IL CONSIGLIO DI STATO
   Ha pronunciato la seguente ordinanza sui ricorsi in appello sub nn.
 3291, 3292, 3293, 3294, 3295,  3296,  3297  e  3298/93  proposti  dal
 comune  di  Roma  in persona del sindaco pro-tempore, rappresentato e
 difeso dall'avv. Nicola Carnovale presso il quale e' elett.te  dom.to
 in Roma, via del Tempio di Giove, 21, contro rispettivamente a) ( sub
 n.  3291/93)  Consorzio direzionalita' 21, s.p.a. Garden, immobiliare
 C.E.M.  s.r.l.,   ciascuno   in   persona   del   rispettivo   legale
 rappresentante, Fratini Redento e Gasperi Angelo, tutti rappresentati
 e  difesi  dall'avv.  Federico  Mannucci  presso  il  cui studio sono
 elett.te dom.ti in Roma, via G.D. Romagnosi,  20,  nonche'  Venerucci
 Vittorio,  non  costituito in giudizio; e nei confronti del Consorzio
 Sdo, non costituito in giudizio; per la riforma  della  sentenza  del
 tribunale  amministrativo  regionale  del  Lazio, sez. I, 13 febbraio
 1993, n. 243; contro b) ( sub n. 3292) immobiliare Subaugusta  s.p.a.
 e  per  essa  la  Sistemi urbani s.p.a. incorporante, rappresentata e
 difesa dagli avv.ti Mario Donzelli, Amedeo Gagliardi, Mario Sanino  e
 Stelio  Valentini  e  presso  lo studio del quarto elett.te dom.ta in
 Roma, via delle Tre Madonne, 20; per la riforma  della  sentenza  del
 tribunale  amministrativo  regionale  del  Lazio, sez. I, 13 febbraio
 1993, n. 247; contro c) ( sub n. 3293) Consorzio  Portonaccio  '82  e
 Varino  s.r.l.  in  persona  dei  rispettivi  legali  rappresentanti,
 rappresentati e difesi dall'avv.to Giuseppe Lavitola  presso  il  cui
 studio  sono  elett.te  dom.ti  in  Roma,  via  Costabella, 23; e nei
 confronti del Consorzio Sdo,  non  costituito  in  giudizio;  per  la
 riforma  della  sentenza  del  tribunale amministrativo regionale del
 Lazio, sez. I, 13 febbraio 1993, n. 239; contro d)  (  sub  n.  3294)
 Arianna  s.r.l.  e  per  essa  la Sistemi urbani s.p.a. incorporante,
 rappresentata e difesa dagli avv.ti Mario Donzelli, Amedeo Gagliardi,
 Mario Sanino e  Stelio  Valentini  e  presso  lo  studio  del  quarto
 elett.te  dom.ta  in  Roma, via delle Tre Madonne, 20; per la riforma
 della sentenza del tribunale amministrativo regionale del Lazio, sez.
 I, 13 febbraio 1993, n. 246; contro  e)  (  sub  n.  3295)  Consorzio
 centro   direzionale  casilino  e  Serapide  s.r.l.  in  persona  dei
 rispettivi  rappresentanti,  rappresentati  e  difesi  dagli   avv.ti
 Gianfilippo Delli Santi, Giuseppe Lavitola e Ennio Venitucci e presso
 lo  studio del secondo elett.te dom.ti in Roma, via Costabella, 23; e
 nei confronti del Consorzio Sdo, non costituito in giudizio;  per  la
 riforma  della  sentenza  del  tribunale amministrativo regionale del
 Lazio, sez. I, 13 febbraio 1993, n. 238; contro f)  (  sub  n.  3296)
 Elba   s.r.l.  e  per  essa  la  Sistemi  urbani  s.p.a.incorporante,
 rappresentata e difesa dagli avv.ti Mario Donzelli, Amedeo Gagliardi,
 Mario Sanino e  Stelio  Valentini  e  presso  lo  studio  del  quarto
 elett.te  dom.ta  in  Roma, via delle Tre Madonne, 20; per la riforma
 della sentenza del tribunale amministrativo regionale del Lazio, sez.
 I, 13 febbraio 1993, n. 244; contro  g)  (  sub  n.  3297)  Edilca  -
 Edilizia  Casal  Bruciato s.p.a., rappresentata e difesa dagli avv.ti
 Mario Donzelli, Amedeo Gagliardi, Mario Sanino e Stelio  Valentini  e
 presso  lo  studio  del quarto elett.te dom.ta in Roma, via delle Tre
 Madonne,  20;  per  la   riforma   della   sentenza   del   tribunale
 amministrativo  regionale  del  Lazio, sez.   I, 13 febbraio 1993, n.
 240; contro h) ( sub n. 3298) Il  Palchetto  s.r.l.  e  per  essa  la
 Sistemi  urbani  s.p.a.  incorporante,  rappresentata  e difesa dagli
 avv.ti Mario  Donzelli,  Amedeo  Gagliardi,  Mario  Sanino  e  Stelio
 Valentini  e presso lo studio del quarto elett.te dom.ta in Roma, via
 delle Tre Madonne, 20; per la riforma della  sentenza  del  tribunale
 amministrativo  regionale  del  Lazio, sez.   I, 13 febbraio 1993, n.
 245.
    Visti i ricorsi con i relativi allegati;
    Visti   gli   atti  di  costituzione  in  giudizio  del  Consorzio
 direzionalita' 21 e litisconsorte, della Sistemi Urbani  s.p.a.,  del
 Consorzio  Portonaccio  '82  e  litisconsorte,  del  Consorzio centro
 direzionale casilino e litisconsorte e della Edilca;
    Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle  rispettive
 difese;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Relatore alla pubblica udienza dell'11 gennaio 1994 il consigliere
 Stefano  Baccarini e uditi l'avv. Carnovale per il comune ricorrente,
 l'avv. Mannucci per il Consorzio direzionalita' 21  e  litisconsorti,
 l'avv.  Lavitola  per  il  Consorzio  Portonaccio '82 e litisconsorte
 nonche', unitamente all'avv. Delli Santi,  per  il  Consorzio  centro
 direzionale  casilino  e  litisconsorte, l'avv. Sanino per la Sistema
 Urbani s.p.a. e per la Edilca;
    Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue;
                               F A T T O
    Con deliberazione 5 giugno 1991, n. 177, il consiglio comunale  di
 Roma,  in  attuazione  della  legge 15 dicembre 1990, n. 396, recante
 interventi per Roma, capitale  della  Repubblica  ed  in  particolare
 dell'art.   8,  concernente  realizzazione  del  sistema  direzionale
 orientale (S.D.O.), determinava di  procedere  in  forma  completa  e
 contestuale   alle   espropriazioni   di   tutte  le  aree  destinate
 all'attuazione dello S.D.O.,  da  realizzarsi  al  piu'  presto  dopo
 l'approvazione  del  programma  di  cui  all'art.  2  della  legge ed
 avviando le relative procedure prima dell'approvazione  del  progetto
 direttore,  destinato  secondo  precedenti delibere a determinare gli
 ambiti territoriali da sottoporre ad esproprio per l'attuazione dello
 S.D.O.
    Tale deliberazione veniva impugnata dinanzi al TAR del Lazio,  con
 otto  distinti  ricorsi, dai consorzi, dalle societa' e dalle persone
 fisiche indicate in epigrafe, proprietarie  di  aree  comprese  nello
 S.D.O.
    In   tutti  i  ricorsi  venivano  dedotti  numerosi  motivi  e  in
 particolare che:
      1) mancava il  programma  pluriennale  contenente  l'indicazione
 degli  ambiti  da  acquisire  tramite  espropriazione  e  dei termini
 temporali  al  decorrere  dei  quali  si   intendeva   procedere   ad
 acquisirli, previsto dal primo comma dell'art. 8 della legge;
      2)  era  illegittima,  per  violazione  dell'art. 8 predetto, la
 deliberazione di procedere all'espropriazione non soltanto delle aree
 destinate agli interventi pubblici, ma anche di quelle  destinate  ad
 interventi privati;
      3)  in  subordine, l'art. 8 predetto, nella misura in cui avesse
 legittimato l'espropriazione di aree destinate ad interventi privati,
 sarebbe stato costituzionalmente illegittimo.
    Resisteva ai ricorsi il comune di Roma.
    Il tar adito, sez. I definiva i giudizi con separate  sentenze  19
 febbraio 1993 nn. 238, 239, 240, 243, 244, 245, 246 e 247 e, ritenuto
 che  era mancato il programma pluriennale delle aree da espropriare e
 dei termini entro cui effettuare le espropriazioni  e  che  l'art.  8
 della  legge  n.  396  del 1990 non consentiva di espropriare le aree
 destinate ad interventi privati, accoglieva i  corrispondenti  motivi
 di  ricorso  ed  annullava  il  provvedimento  impugnato, dichiarando
 assorbiti gli altri motivi.
    Avverso  tali  sentenze  propone  separati appelli al consiglio di
 Stato il comune di Roma, deducendo che l'art. 8 della  legge  n.  396
 del  1990  consente l'assoggettabilita' ad esproprio anche delle aree
 destinate all'edificazione privata e che, siccome il  piu'  comprende
 il  meno,  la  previsione  di un programma pluriennale degli espropri
 comprende  la  facolta'  di  accelerare   e   concentrare   i   tempi
 dell'attivita' espropriativa.
    Resistono  i  ricorrenti  in  primo  grado,  riproponendo i motivi
 assorbiti.
    Le  domande  incidentali  di  sospensione  dell'esecuzione   delle
 sentenze appellate sono state rinviate al merito.
    All'odierna udienza, uditi i difensori delle parti, i ricorsi sono
 passati in decisione.
                             D I R I T T O
    1.  -  Occorre preliminarmente disporre la riunione degli appelli,
 in quanto soggettivamente ed oggettivamente connessi.
    2. - La legge 15 dicembre 1990, n.  396,  recante  interventi  per
 Roma,  capitale  della  Repubblica, stabilisce all'art. 1 che sono di
 preminente   interesse   nazionale    gli    interventi    funzionali
 all'assolvimento  da parte della citta' di Roma del ruolo di capitale
 della Repubblica e diretti, tra l'altro,  a  "realizzare  il  sistema
 direzionale  orientale e le connesse infrastrutture, anche attraverso
 una riqualificazione del tessuto urbano e sociale del  quadrante  Est
 della   citta',   nonche'   definire   organicamente   il   piano  di
 localizzazione  delle  sedi  del  Parlamento,  del   Governo,   delle
 amministrazioni   e   degli   uffici  pubblici  anche  attraverso  il
 conseguente programma di riutilizzazione dei beni pubblici".
    La  legge  non  descrive  direttamente  il   settore   della   cui
 edificazione  si  tratta,  ma  con  le  locuzioni  "quadrante  Est" e
 "sistema direzionale orientale" rinvia implicitamente allo  strumento
 urbanistico generale del comune di Roma.
    L'art.  12  delle  N.T.A. del P.R.G. del comune di Roma disciplina
 per l'appunto la zona I, destinata ad insediamenti misti,  disponendo
 che  "tale  zona e' destinata a ricostituire l'equilibrio del tessuto
 urbanistico nella parte semiperiferica del quadrante orientale  della
 citta',  oltre  che  lungo  la  via  C.  Colombo e nel quartiere EUR,
 eccetera".
    Oltre  alla  via  C.  Colombo  ed  al  quartiere  EUR,   la   zona
 semiperiferica  del  quadrante  orientale  consta, secondo l'articolo
 suddetto,  dei  comprensori  di  Pietralata,  Tiburtino,  Casilino  e
 Centocelle ivi sommariamente descritti e la cui esatta perimetrazione
 e'  rimessa ai piani particolareggiati e ad altri strumenti attuativi
 estesi all'intiero comprensorio, che possono occupare zone finitime.
    Del resto, l'articolo in questione da' anche (nell'acclusa tabella
 B) la superficie indicativa di ciascuno dei comprensori,  e  fornisce
 dati sulle aree riservate ad interventi pubblici.
    Non e' contestato che i comprensori siano stati perimetrati, e che
 gli  immobili, di cui si discute, dei ricorrenti dinanzi al TAR siano
 in essi compresi.
    L'art. 8 della stessa legge, poi, cosi' dispone:
      "1. per la realizzazione del sistema  direzionale  orientale  di
 cui  all'art.  1, il comune di Roma delibera un programma pluriennale
 contenente  l'indicazione   degli   ambiti   da   acquisire   tramite
 espropriazione  e  dei  termini  temporali  al decorrere dei quali si
 intende   procedere   ad   acquisirli,  restando  l'esecuzione  delle
 espropriazioni  subordinata  solamente  al  decorrere  dei   predetti
 temporali;
      2.  gli  immobili acquisiti ai sensi del primo comma, eccettuati
 quelli destinati ad utilizzazioni da  parte  del  comune  di  Roma  o
 comunque  interessati  alla localizzazione delle sedi pubbliche, sono
 dal  comune  medesimo  ceduti,  anche  tramite  asta   pubblica,   in
 proprieta'  o  in diritto di superficie a soggetti pubblici o privati
 che si impegnano  mediante  apposite  convenzioni  ad  effettuare  le
 previste  trasformazioni  ed utilizzazioni. I prezzi di cessione sono
 determinati sulla base dei costi  di  acquisizione  maggiorati  delle
 quote,  proporzionali  ai  volumi  od  alle  superfici degli immobili
 risultanti dalle previste trasformazioni, dei costi delle  opere,  di
 competenza  del comune, per la sistemazione e le organizzazioni degli
 ambiti in cui ricadono gli immobili interessati;
      3. per la realizzazione del sistema direzionale orientale di cui
 all'art. 1 e' applicabile l'art. 27 della legge 22 ottobre  1971,  n.
 865, anche per insediamenti per attivita' terziarie e direzionali".
    In    queste   coordinate   normative   si   colloca   l'impugnata
 deliberazione del consiglio comunale di Roma 5 giugno 1991,  n.  177,
 che ha stabilito di procedere all'esproprio generalizzato di tutte le
 aree comprese nello S.D.O., ivi comprese, quindi, quelle destinate ad
 interventi privati.
    3. - Su tale fondamentale questione la sentenza di primo grado, in
 accoglimento  dei  ricorsi,  ha ritenuto illegittimo il provvedimento
 impugnato  sulla  base  del  seguente  itinerario  argomentativo:  1)
 l'espropriabilita' delle sole aree destinate agli interventi pubblici
 era  - esa soltanto - coerente con l'autonomia del comune di assumere
 le   proprie   determinazioni   e   prescrizioni   urbanistiche;   2)
 l'espropriabilita' anche delle aree destinate agli interventi privati
 avrebbe   dovuto   essere   disposta   esplicitamente;  3)  l'opposta
 interpretazione  della  norma  comporterebbe  dubbi  di  legittimita'
 costituzionale   in   riferimento   agli  artt.  3,  42  e  97  della
 Costituzione.  Il comune di Roma appellante censura  l'esposta  trama
 argomentativa  della  sentenza  di primo grado e, al fine di ottenere
 l'esplicito sovvertimento in  appello,  fa  acquiescenza  al  rigetto
 delle    eccezioni    pregiudiziali    di   inammissibilita'   e   di
 improcedibilita'  del  ricorso  per  carenza  di  interesse  da  esso
 proposte in primo grado.
    Deliberato  l'appello  ai  fini  della successiva cognizione delle
 questioni di legittimita' costituzionale di cui appresso, esso appare
 sul punto fondato.
    Le argomentazioni della  sentenza  di  primo  grado,  invero,  non
 appaiono persuasive.
    3.1.  -  Quanto ad 1), l'argomento della coerenza con il principio
 dell'autonomia  comunale  avrebbe  pregio,  per  escludere  l'ipotesi
 interpretativa  dell'espropriabilita' generalizzata, se nel paradigma
 normativo quest'ultima fosse configurata  come  obbligatoria,  mentre
 proprio  l'enunciato  su  cui  ha soffermato la sua attenzione il TAR
 ("l'indicazione degli ambiti da  acquisire  tramite  espropriazione")
 rende   manifesta   la  struttura  discrezionale  della  fattispecie,
 rispetto  alla  quale  l'argomento  della  coerenza  con  l'autonomia
 comunale diventa inconferente.
    3.2.  -  Quanto  a  2), l'argomento secondo cui l'espropriabilita'
 generalizzata   delle   aree   avrebbe   dovuto    essere    disposta
 esplicitamente  sembra  risolversi nell'enunciazione d'un criterio di
 buona tecnica normativa, irrilevante ai fini  attuali.  Il  principio
 della  scelta  della  formulazione  dei  precetti  legislativi (ed in
 particolare di quelli contrari al sistema precedente) piu' chiara  ed
 esplicita  possibile attiene alla scienza della legislazione, ed alla
 valutazione   politica,   cioe'   di   merito,   dell'attivita'   del
 legislatore.
    Emanata  che  sia la legge, l'interprete non puo' che studiarne il
 tenore effettivo, allo scopo di ricercarne, secondo i noti canoni, ed
 in ultima analisi secondo  quello  della  maggiore  probabilita',  il
 significato.
    3.3.  -  Rispetto  a  3),  in  base  al criterio ermeneutico della
 coerenza alla Costituzione, quando di una norma si possono  dare  due
 interpretazioni, una conforme ed una contrastante con la Costituzione
 stessa,   si  deve  effettivamente  privilegiare  la  prima  anziche'
 sollevare la questione di  legittimita'  costituzionale.  E'  infatti
 ragionevole   assumere  che  il  legislatore  ordinario  abbia  avuto
 conoscenza del dettato costituzionale, ed abbia inteso conformarvisi.
 Ma ove, come nella specie, gli argomenti esposti a  sostegno  di  una
 delle  ipotesi  interpretative  siano  privi di persuasivita' ed anzi
 sussistano, come appresso si vedra', ben piu'  convincenti  argomenti
 contrari,   manca   la   stessa   incertezza  tra  le  due  possibili
 interpretazioni e, quindi, la possibilita' del  ricorso  al  criterio
 della coerenza con la Costituzione.
    3.4.  -  Al contrario, la formulazione letterale del secondo comma
 dell'art. 8 in esame ("gli immobili  acquisiti  ai  sensi  del  primo
 comma,  eccettuati  quelli  destinati  ad  utilizzazioni da parte del
 comune di Roma o comunque interessati alla localizzazione delle  sedi
 pubbliche,  sono  dal  comune  medesimo  ceduti,  anche  tramite asta
 pubblica, in  proprieta'  o  in  diritto  di  superficie  a  soggetti
 pubblici  o privati che si impegnano mediante apposite convenzioni ad
 effettuare  le  previste  trasformazioni  ed  utilizzazioni")   rende
 persuasi   che   gli   immobili  acquisibili  tramite  espropriazione
 appartengono  a  due  diverse  categorie:   immobili   riservati   ad
 interventi pubblici, e destinati alla definitiva avocazione alla mano
 pubblica;  immobili  riservati  ad interventi privati, e destinati ad
 essere riassegnati, dopo l'espropriazione, al  mercato.    Non  giova
 agli  appellati  dedurre  che  il  secondo  comma si riferirebbe alle
 porzioni di immobili in concreto non utilizzate  per  gli  interventi
 pubblici,  in  quanto  l'enunciato:  "eccettuati  quelli destinati ad
 utilizzazioni da parte del comune di Roma", esprime  un  concetto  di
 separatezza  e  non  di  residualita'  delle  aree  da riassegnare al
 mercato, che collocherebbe, del resto, la disposizione in un  settore
 dell'esperienza   giuridica  gia'  disciplinato  dall'istituto  della
 retrocessione.
    3.5.  -  Ulteriore  conferma  del  suesposto   assunto   si   trae
 dall'ultimo  comma  dell'art.  8  piu' volte citato, che estende alla
 realizzazione  del   sistema   direzionale   orientale,   anche   per
 insediamenti  per attivita' terziarie e direzionali, l'applicabilita'
 dell'art. 27 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, concernente i piani
 per gli insediamenti produttivi, che consente l'espropriazione  anche
 della  totalita'  delle  aree  a  destinazione  industriale  (Ap., 16
 dicembre  1983,  n.  26).   Ne' quest'ultima disposizione puo' essere
 intesa, come dedotto dagli appellanti, in modo tale da  circoscrivere
 l'espropriabilita'  alle  sole  aree  direzionali,  con esclusione di
 quelle residenziali, in quanto, a parte la collocazione  in  chiusura
 anziche'  all'inizio  dell'articolo,  come sarebbe stato logico se si
 fosse trattato di norma  restrittiva,  la  disposizione  impiega  una
 locuzione   permissiva  ("e'  applicabile")  anziche'  una  locuzione
 vincolante e non  preclude,  quindi,  interventi,  non  riconducibili
 all'art.  27  citato, su aree residenziali, secondo le previsioni dei
 commi precedenti.  Tale conclusione non implica, poi, che, essendo le
 aree destinate ad interventi privati espropriabili in base  ai  primi
 due  commi,  il  terzo  comma cosi' interpretato, sarebbe inutile, in
 quanto, a tacer d'altro, il richiamo e l'estensione del predetto art.
 27 ne rende applicabile l'ultima parte del sesto comma, in base  alla
 quale ai fini della cessione delle aree espropriate "tra piu' istanze
 concorrenti  e'  data  la  preferenza  a  quelle  presentate  da enti
 pubblici e aziende a partecipazione statale nell'ambito di  programmi
 gia'  approvati  dal  Cipe".    Dai lavori preparatori, del resto, si
 evince che in questo senso veniva  intesa  dai  conditores  legis  la
 portata  precettiva  della menzionata disposizione (cfr. al Senato le
 dichiarazioni del relatore Golfari nella seduta del 30  ottobre  1990
 delle  commissioni  ottava  e  tredicesima  riunite  del Senato e gli
 ordini del giorno 0/2471/4/ e 0/2471/5/ ottava e tredicesima  riunite
 approvati nella seduta del 20 novembre 1990).
    3.6.  - Le suesposte conclusioni sono confermate anche da elementi
 extratestuali.   L'art. 8  in  esame  trae  origine  da  un  articolo
 aggiuntivo  8.02 presentato dal relatore Piermartini nella seduta del
 12 giugno 1990 dell'ottava commissione della Camera.   Dichiarava  il
 proponente:  "  ..  la  proposta originaria dei relatori per cio' che
 concerne le procedure da seguire per l'attuazione del  programma  era
 diretta  a riconoscere al comune la piu' ampia possibilita' di scelta
 in ordine alla via  da  seguire.  Quella  appena  illustrata  risulta
 invece   un   tentativo  diretto  a  venire  incontro  alle  esigenze
 manifestate dalle opposizioni affermando quello  dell'esproprio  come
 sistema  d'acquisizione  delle  aree per la realizzazione del sistema
 direzionale orientale".  Successivamente, il principio dell'esproprio
 generalizzato veniva affermato dal consiglio comunale di Roma,  anche
 in  relazione alla legge su Roma capitale in corso di approvazione in
 Parlamento, con le deliberazioni 25  settembre  1990,  n.  757,  e  1
 ottobre  1990,  n. 763.  Agli accordi sanciti da dette delibere sulla
 questione  degli  espropri  si   rinvengono   richiami   nei   lavori
 parlamentari (cfr.  dichiarazioni del deputato Mensurati nella seduta
 del 4 ottobre 1990 dell'ottava commissione).  Cosi' come in piu' casi
 si rinvengono riferimenti espliciti all'esproprio generalizzato (cfr.
 dichiarazioni dei deputati D'Angelo, Cederna e Sapio nella seduta del
 12  giugno,  del  deputato  Sapio  nella  seduta  del  4 ottobre, del
 relatore Golfari nella seduta del 30 ottobre delle commissioni ottava
 e tredicesima riunite del Senato).  Per le suesposte  considerazioni,
 l'art.   8  va  interpretato  nel  senso  di  consentire  l'esproprio
 generalizzato delle aree dello S.D.O., anche di quelle  destinate  ad
 interventi  privati, ed il provvedimento impugnato in primo grado non
 e' per questo profilo in contrasto con tale disposizione.
    4.  - Strettamente connesse con la questione interpretativa, cosi'
 risolta, sono le questioni di  legittimita'  costituzionale,  dedotte
 dalle  parti private con motivi di ricorso assorbiti in primo grado e
 riproposti in appello e comunque rilevabili d'ufficio.
    4.1.  -  Va  anzitutto  dichiarata  manifestamente  infondata   la
 questione  di  legittimita'  costituzionale  degli  artt. 1 e 8 della
 legge  15  dicembre   1990,   n.   396,   sollevata   dal   Consorzio
 direzionalita'  21  e litisconsorti sotto il profilo della violazione
 della competenza regionale in materia urbanistica.  In base  all'art.
 1  della  legge  n.  396 cit., infatti, sono dichiarati di preminente
 interesse  nazionale  determinati  interventi,   tra   i   quali   la
 realizzazione   del   sistema   direzionale   orientale,   funzionali
 all'assolvimento da parte della citta' di Roma del ruolo di  capitale
 della   Repubblica.     Al  riguardo,  sembrano  ricorrere  tutte  le
 condizioni  necessarie,  secondo  la   giurisprudenza   della   Corte
 costituzionale,   per   giustificare   l'intervento  del  legislatore
 statale, in quanto:
      a) il discrezionale  apprezzamento  circa  la  ricorrenza  e  la
 rilevanza   dell'interesse   nazionale   non   appare  irragionevole,
 arbitrario  o  pretestuoso,  tale  da  comportare   un'ingiustificata
 compressione dell'autonomia regionale (sent. n. 49/1987);
      b)  la  natura  dell'interesse posto a base della disciplina e',
 per dimensione o per complessita',  anche  in  relazione  all'entita'
 delle  risorse  necessarie,  tale che una sua adeguata soddisfazione,
 tenuto conto dei valori costituzionali da rispettare o da  garantire,
 non   possa   avvenire  senza  disciplinare  profili  o  aspetti  che
 esorbitano dalle competenze regionali e tuttavia sono necessariamente
 connessi con il tema oggetto della normativa in questione (sentt. nn.
 340 del 1983, 177, 195 e 294 del 1986, 49 e 304 del 1987);
       c) l'intervento legislativo dello Stato, considerato nella  sua
 concreta  articolazione,  appare  in  ogni  sua  parte giustificato e
 contenuto nei limiti  segnati  dalla  reale  esigenza  di  soddisfare
 l'interesse nazionale posto a suo fondamento (sentt. nn. 177 del 1988
 e 407 del 1989).
    4.2.  -  Inammissibile  per  difetto  di  rilevanza, invece, e' la
 questione di legittimita' costituzionale dell'art. 7 della  legge  15
 dicembre 1990, n. 396, in riferimento all'art. 42, terzo comma, della
 Costituzione, sollevata dalle medesime parti private sotto il profilo
 della  inadeguatezza  dell'indirizzo,  in quanto tale norma non trova
 applicazione nel presente giudizio.
    4.3. - Va poi  esaminata,  sotto  il  profilo  della  legittimita'
 costituzionale,  la  questione  dell'esproprio  generalizzato  di cui
 all'art. 8.  La questione, va premesso, e' rilevante,  in  quanto  la
 disposizione  in  esame  e'  quella  sulla  quale  si fonda il potere
 esercitato   con   il   provvedimento   impugnato,   censurato    per
 illegittimita'  derivata  dalla  illegittimita'  costituzionale della
 norma.   In relazione  alle  indicazioni  del  p.r.g.  di  Roma,  cui
 implicitamente  rinvia la legge n. 396, la fattispecie dell'esproprio
 generalizzato incide, come gia'  visto,  su:  a)  aree  destinate  ad
 interventi  pubblici;  b)  aree a destinazione direzionale; c) aree a
 destinazione residenziale.
    Nulla quaestio per le prime, per le quali l'espropriazione non  si
 atteggia  qui  in  maniera diversa dal diritto comune.  Per le aree a
 destinazione privata (direzionale e residenziale), le  parti  private
 eccepiscono  l'illegittimita'  costituzionale dell'art. 8 della legge
 n. 396 e dell'art. 27 della legge n. 865 del 1971 in riferimento agli
 artt.   3  e  42,  terzo  comma,  della  Costituzione.    Presupposto
 costituzionale dell'espropriazione e', com'e'  noto,  l'esistenza  di
 motivi d'interesse generale.
    Ora,  per quanto riguarda le aree a destinazione direzionale dello
 S.D.O. l'esproprio generalizzato non appare  dissimile,  se  non  per
 l'esplicita  estensione  agli  insediamenti per attivita' terziarie e
 direzionali, dalla fattispecie di cui  all'art.  27  della  legge  n.
 865/1971, concernente i piani per gli insediamenti produttivi, di cui
 questo  Consiglio  ha  segnalato  la funzione, da un lato, di stimolo
 della espansione industriale nel territorio comunale,  attraverso  la
 cessione   alle   imprese   interessate   dei   terreni  espropriati,
 dall'altro, di strumento rivolto ad assicurare, a  coerente  sviluppo
 delle  piu'  generali  previsioni del piano regolatore generale e del
 programma di fabbricazione, un  ordinato  assetto  urbanistico  nella
 zona  nella  quale  dovranno  inserirsi  i  nuovi  complessi,  ovvero
 dovranno  trovare  migliore  o   piu'   adeguata   collocazione   gli
 insediamenti  gia'  esistenti  (sez. IV, 23 novembre 1985, n. 566; 23
 marzo 1987, n. 168).
    Del resto, la previsione dell'art.  12  delle  N.T.A.  del  p.r.g.
 privilegia,  qualitativamente  e  quantitativamente, insediamenti per
 attivita' direzionali e terziarie e  servizi,  la  cui  realizzazione
 costituisce lo specifico del sistema direzionale orientale e, quindi,
 la  ragion  d'essere della valutazione legale di preminente interesse
 nazionale.    Nella  peculiarita'  di  tale  contesto,  in   cui   la
 realizzazione  degli  insediamenti  direzionali  appare  strettamente
 connessa, nella  prospettiva  di  contrastare  la  congestione  e  la
 terziarizzazione del centro storico, alla rilocalizzazione delle sedi
 della pubblica amministrazione, la funzionalizzazione temporale della
 proprieta'   fondiaria   realizzata   dal  programma  pluriennale  di
 attuazione e dall'espropriazione sanzionatoria prevista dall'art. 13,
 sesto comma, della legge 28 gennaio 1977, n. 10,  puo'  non  apparire
 sufficiente  a  garantire,  anche  in  relazioe al principio del buon
 andamento  dell'amministrazione,  la  migliore  e   piu'   tempestiva
 attuazione delle previsioni di piano regolatore.
    Per  la stessa ragione, inoltre, la peculiarita' della fattispecie
 e degli interessi pubblici che vi sono correlati rende ragione  della
 mancata  previsione  di  moduli  procedimentali obbligatori diretti a
 favorire la collaborazione dei proprietari delle aree ai  fini  della
 realizzazione  spontanea  delle finalita' del piano, in base ai quali
 Corte costituzionale ord. n. 31 del 1988 ha dichiarato  la  manifesta
 infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art.
 27  della  legge  n.  865/1971,  e  dell'adottabilita'  immediata  ed
 incondizionata, invece, di strumenti  ablatori.    Per  le  suesposte
 considerazioni,  sotto  il  profilo  fin qui esaminato delle aree con
 destinazione direzionale la questione di legittimita'  costituzionale
 appare manifestamente infondata.
    4.4.  - Per quanto riguarda le aree con destinazione residenziale,
 invece, la fattispecie di espropriazione e riassegnazione al  mercato
 di  cui  all'art.  8  della  legge  n.  396/1990  non  sembra trovare
 precedenti sostanzialmente analoghi.
    Non nell'art. 27 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, che, come or
 dianzi  visto,  si  riferisce  agli insediamenti produttivi e tende a
 favorire l'espansione industriale.  Non nella legge 18  aprile  1962,
 n.  167,  e successive modificazioni e integrazioni, che e' diretta a
 favorire l'acquisizione di aree fabbricabili per l'edilizia economica
 e popolare.   Non nell'art. 13 della legge  5  marzo  1963,  n.  246,
 recante  istituzione  di  un'imposta sugli incrementi di valore delle
 aree fabbricabili, riconosciuto legittimo  da  Corte  costituzionale,
 sent.   n. 44/1966, in quanto il potere del comune di acquistare o di
 espropriare aree era ivi preordinato alla formazione di un patrimonio
 comunale di aree fabbricabili  per  favorire  lo  sviluppo  edilizio,
 urbanistico ed economico del territorio.
    Nella   specie,   invece,   la   peculiarita'   della  fattispecie
 espropriativa risiede in cio', che:
      1) la norma non indica  esplicitamente  i  motivi  di  interesse
 generale  dell'espropriabilita'  anche  delle  aree  con destinazione
 residenziale;
      2) le aree residenziali non restano acquisite alla mano pubblica
 ne' vanno utilizzate per particolari finalita'  solidaristiche  o  di
 politica  economica, ma vanno cedute, anche tramite asta pubblica, in
 proprieta' o in diritto di superficie a soggetti pubblici  o  privati
 che  si  impegnano  mediante  apposite  convenzioni  ad effettuare le
 previste trasformazioni ed utilizzazioni.
    Il comune appellante deduce, a sostegno della  legittimita'  della
 disposizione,  che  essa  perseguirebbe  i seguenti fini di interesse
 generale:
      1)  assicurare  alla   mano   pubblica   il   costante   governo
 dell'operazione;
      2) calmierare i prezzi;
      3)   conseguire   l'autosufficienza   economica  dell'operazione
 acquisendo all'amministrazione, sotto forma di differenza tra i costi
 (rappresentati dall'indennita' di espropriazione) ed i  ricavi  (dati
 dai   prezzi   delle   aste),   il   plus  valore  determinato  dalla
 realizzazione delle infrastrutture.
    4.4.1. - E' da osservare al riguardo  che,  come  avvertito  dalla
 Corte   costituzionale   (sent.   n.   90  del  1966),  "il  precetto
 costituzionale,  secondo  cui  una  espropriazione  non  puo'  essere
 consentita  dalla legge se non per 'motivi di interesse generale' (o,
 il che e' lo stesso, per 'pubblica utilita''), e cioe' se non  quando
 lo  esigano  ragioni  importanti  per  la collettivita', comporta, in
 primo luogo, la necessita' che la legge indichi  le  ragioni  per  le
 quali   si   puo'   far   luogo  all'espropriazione;  e  inoltre  che
 quest'ultima non possa essere  autorizzata  se  non  nella  effettiva
 presenza  delle  ragioni  indicate  dalla  legge".    Suscita  quindi
 perplessita' sulla conformita' a Costituzione il fatto che  la  legge
 in  esame  ometta  qualsiasi  indicazione  dei  motivi  di  interesse
 generale e che, in difetto, possa darsi ingresso a motivi  dichiarati
 dall'autorita'  amministrativa  o,  addirittura,  dalla sua difesa in
 giudizio.
    4.4.2.  -  In  ogni  caso,  rispetto  alla  pretesa  finalita'  di
 assicurare  alla  mano  pubblica il costante governo dell'operazione,
 l'ablazione delle aree  residenziali  appare  priva  di  consecuzione
 logica   e   di   adeguatezza,   laddove   la   salvezza  dell'azione
 amministrativa dalle pressioni indebite dovrebbe essere garantita non
 da meccanismi come quello  ora  prescelto,  ma  da  assetti  di  tipo
 istituzionale   comuni  alle  numerosissime  ipotesi  in  cui  spetti
 all'autorita' amministrativa  di  maturare  decisioni  aventi  grande
 valore economico per gl'interessati attuali o futuri.
    4.4.4.   -   Quanto   alla   finalita'   sub   3),   di  garantire
 all'amministrazione locale autosufficienza finanziaria, i  casi  sono
 due.
    O  la  finalita'  e'  quella  di  recuperare  soltanto  le  quote,
 proporzionali ai volumi o alle superfici degli  immobili,  dei  costi
 delle  opere,  di  competenza  del  comune,  per la sistemazione e le
 urbanizzazioni degli ambiti in cui ricadono gli immobili interessati,
 e allora  e'  assorbente  considerare  che  lo  stesso  risultato  si
 consegue  nei  confronti  dei  proprietari  non espropriati, senza il
 sacrificio del diritto di proprieta', attraverso il  pagamento  degli
 oneri   di   lottizzazione   (cfr.  Corte  costituzionale,  sent.  n.
 283/1993).  Ovvero lo scopo e' quello di lucrare prezzi  di  cessione
 "di  mercato" - come farebbe pensare l'approvazione degli emendamenti
 8.11 e 8.12,  che  hanno  introdotto  l'inciso  "anche  tramite  asta
 pubblica"  e  sostituito la locuzione "sulla base dei costi" a quella
 "in misura pari ai costi" (cfr.  seduta  del  4  ottobre  1990  della
 ottava commissione della Camera) - e allora questa finalita' entra in
 conflitto   con   quella  di  calmierare  i  prezzi,  che  si  rivela
 inconsistente.  In quest'ultimo caso, il precetto costituzionale, che
 prescrive che l'espropriazione deve avvenire per motivi di  interesse
 generale  e salvo indennizzo (che non deve necessariamente coincidere
 con il valore venale del bene), non appare con certezza osservato  da
 una  norma  di  legge  per  la  quale  i motivi di interesse generale
 dell'espropriazione non  consistono  nell'utilizzazione  diretta  del
 bene  in  se',  ma  si  risolvono nella sua occasionale e strumentale
 utilizzazione indiretta per il conseguimento, al di la'  dell'aumento
 di  valore ricollegabile alle infrastrutture, della differenza tra il
 (maggior) prezzo della cessione ed il (minor) costo dell'acquisizione
 ablativa, e cioe', in ultima istanza, trovano fondamento nella misura
 dell'indennizzo, che dovrebbe invece restar estranea  ai  presupposti
 della fattispecie espropriativa.
    4.4.5.  -  Anche  l'argomento,  dedotto dal comune, della assoluta
 trasparenza delle operazioni, non sembra del tutto pertinente, ove si
 consideri:
      a) che  l'attuale  formulazione  della  norma  in  esame  deriva
 dall'approvazione  di  un  emendamento  8.11., diretto ad aggiungere,
 dopo la parola: "ceduti", le parole "anche  tramite  asta  pubblica",
 dopo la rinuncia ad altro emendamento 8.7. che intendeva, allo stesso
 punto,  aggiungere  le  parole: "mediante asta pubblica" (cfr. seduta
 del 4  ottobre  1990  della  ottava  commissione  della  Camera).  La
 possibilita'  di  lasciare all'amministrazione di scegliere, di volta
 in volta o per categorie, fra  asta  pubblica  e  trattativa  privata
 potrebbe, al contrario, appare tale trasparenza;
       b) che, con l'ordine del giorno 0/2471/4 approvato nella seduta
 del 20 novembre 1990, le commissioni ottava e tredicesima riunite del
 Senato  precisavano  che  l'asta pubblica rappresentava uno strumento
 ulteriore a disposizione del comune aggiuntivo a  rispetto  a  quelli
 utilizzabili  ai sensi della legge n. 865 del 1971 per la cessione in
 proprieta' delle aree espropriate;
      c)  che  per  i  proventi  di  detta  cessione non e' sancito un
 esplicito vincolo di destinazione, come nell'art. 12 della  legge  28
 gennaio 1977, n. 10.
    4.5.  -  A  cio'  si aggiunga che il particolare regime delle aree
 residenziali dello S.D.O., al  di  fuori  di  obiettive  esigenze  di
 connessione  con  quelle  a destinazione pubblicistica e con quelle a
 destinazione direzionale, puo' apparire in contrasto con il principio
 di eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione in relazione alla
 situazione  degli  altri  proprietari   di   aree   edificabili   con
 destinazione   residenziale.  Questo  puo'  sembrare  particolarmente
 evidente per le aree subito esterne alla previsione  urbanistica,  la
 quale  dopo  tutto  non  si fonda su aspetti fisici o culturali delle
 aree prescelte, che siano chiaramente ed obiettivamente distinguibili
 da quelli delle aree escluse.
    4.6.  -  Per  le  suesposte  considerazioni,   la   questione   di
 legittimita' costituzionale dell'art. 8, primo e secondo comma, della
 legge  15  dicembre  1990,  n.  396,  nella  parte  in  cui  consente
 l'espropriazione  anche  delle  aree  con  destinazione  residenziale
 incluse  nel sistema direzionale orientale, appare non manifestamente
 infondata in riferimento agli  artt.  3  e  42,  terzo  comma,  della
 Costituzione e va rimessa alla Corte costituzionale.
    Sulle  domande incidentali di sospensione si provvede con separate
 ordinanze.
    Ogni altra questione va riservata al definitivo.