IL CONSIGLIO DI STATO Ha pronunciato la seguente ordinanza sui ricorsi in appello sub nn. 3291, 3292, 3293, 3294, 3295, 3296, 3297 e 3298/93 proposti dal comune di Roma in persona del sindaco pro-tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Nicola Carnovale presso il quale e' elett.te dom.to in Roma, via del Tempio di Giove, 21, contro rispettivamente a) ( sub n. 3291/93) Consorzio direzionalita' 21, s.p.a. Garden, immobiliare C.E.M. s.r.l., ciascuno in persona del rispettivo legale rappresentante, Fratini Redento e Gasperi Angelo, tutti rappresentati e difesi dall'avv. Federico Mannucci presso il cui studio sono elett.te dom.ti in Roma, via G.D. Romagnosi, 20, nonche' Venerucci Vittorio, non costituito in giudizio; e nei confronti del Consorzio Sdo, non costituito in giudizio; per la riforma della sentenza del tribunale amministrativo regionale del Lazio, sez. I, 13 febbraio 1993, n. 243; contro b) ( sub n. 3292) immobiliare Subaugusta s.p.a. e per essa la Sistemi urbani s.p.a. incorporante, rappresentata e difesa dagli avv.ti Mario Donzelli, Amedeo Gagliardi, Mario Sanino e Stelio Valentini e presso lo studio del quarto elett.te dom.ta in Roma, via delle Tre Madonne, 20; per la riforma della sentenza del tribunale amministrativo regionale del Lazio, sez. I, 13 febbraio 1993, n. 247; contro c) ( sub n. 3293) Consorzio Portonaccio '82 e Varino s.r.l. in persona dei rispettivi legali rappresentanti, rappresentati e difesi dall'avv.to Giuseppe Lavitola presso il cui studio sono elett.te dom.ti in Roma, via Costabella, 23; e nei confronti del Consorzio Sdo, non costituito in giudizio; per la riforma della sentenza del tribunale amministrativo regionale del Lazio, sez. I, 13 febbraio 1993, n. 239; contro d) ( sub n. 3294) Arianna s.r.l. e per essa la Sistemi urbani s.p.a. incorporante, rappresentata e difesa dagli avv.ti Mario Donzelli, Amedeo Gagliardi, Mario Sanino e Stelio Valentini e presso lo studio del quarto elett.te dom.ta in Roma, via delle Tre Madonne, 20; per la riforma della sentenza del tribunale amministrativo regionale del Lazio, sez. I, 13 febbraio 1993, n. 246; contro e) ( sub n. 3295) Consorzio centro direzionale casilino e Serapide s.r.l. in persona dei rispettivi rappresentanti, rappresentati e difesi dagli avv.ti Gianfilippo Delli Santi, Giuseppe Lavitola e Ennio Venitucci e presso lo studio del secondo elett.te dom.ti in Roma, via Costabella, 23; e nei confronti del Consorzio Sdo, non costituito in giudizio; per la riforma della sentenza del tribunale amministrativo regionale del Lazio, sez. I, 13 febbraio 1993, n. 238; contro f) ( sub n. 3296) Elba s.r.l. e per essa la Sistemi urbani s.p.a.incorporante, rappresentata e difesa dagli avv.ti Mario Donzelli, Amedeo Gagliardi, Mario Sanino e Stelio Valentini e presso lo studio del quarto elett.te dom.ta in Roma, via delle Tre Madonne, 20; per la riforma della sentenza del tribunale amministrativo regionale del Lazio, sez. I, 13 febbraio 1993, n. 244; contro g) ( sub n. 3297) Edilca - Edilizia Casal Bruciato s.p.a., rappresentata e difesa dagli avv.ti Mario Donzelli, Amedeo Gagliardi, Mario Sanino e Stelio Valentini e presso lo studio del quarto elett.te dom.ta in Roma, via delle Tre Madonne, 20; per la riforma della sentenza del tribunale amministrativo regionale del Lazio, sez. I, 13 febbraio 1993, n. 240; contro h) ( sub n. 3298) Il Palchetto s.r.l. e per essa la Sistemi urbani s.p.a. incorporante, rappresentata e difesa dagli avv.ti Mario Donzelli, Amedeo Gagliardi, Mario Sanino e Stelio Valentini e presso lo studio del quarto elett.te dom.ta in Roma, via delle Tre Madonne, 20; per la riforma della sentenza del tribunale amministrativo regionale del Lazio, sez. I, 13 febbraio 1993, n. 245. Visti i ricorsi con i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Consorzio direzionalita' 21 e litisconsorte, della Sistemi Urbani s.p.a., del Consorzio Portonaccio '82 e litisconsorte, del Consorzio centro direzionale casilino e litisconsorte e della Edilca; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti della causa; Relatore alla pubblica udienza dell'11 gennaio 1994 il consigliere Stefano Baccarini e uditi l'avv. Carnovale per il comune ricorrente, l'avv. Mannucci per il Consorzio direzionalita' 21 e litisconsorti, l'avv. Lavitola per il Consorzio Portonaccio '82 e litisconsorte nonche', unitamente all'avv. Delli Santi, per il Consorzio centro direzionale casilino e litisconsorte, l'avv. Sanino per la Sistema Urbani s.p.a. e per la Edilca; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue; F A T T O Con deliberazione 5 giugno 1991, n. 177, il consiglio comunale di Roma, in attuazione della legge 15 dicembre 1990, n. 396, recante interventi per Roma, capitale della Repubblica ed in particolare dell'art. 8, concernente realizzazione del sistema direzionale orientale (S.D.O.), determinava di procedere in forma completa e contestuale alle espropriazioni di tutte le aree destinate all'attuazione dello S.D.O., da realizzarsi al piu' presto dopo l'approvazione del programma di cui all'art. 2 della legge ed avviando le relative procedure prima dell'approvazione del progetto direttore, destinato secondo precedenti delibere a determinare gli ambiti territoriali da sottoporre ad esproprio per l'attuazione dello S.D.O. Tale deliberazione veniva impugnata dinanzi al TAR del Lazio, con otto distinti ricorsi, dai consorzi, dalle societa' e dalle persone fisiche indicate in epigrafe, proprietarie di aree comprese nello S.D.O. In tutti i ricorsi venivano dedotti numerosi motivi e in particolare che: 1) mancava il programma pluriennale contenente l'indicazione degli ambiti da acquisire tramite espropriazione e dei termini temporali al decorrere dei quali si intendeva procedere ad acquisirli, previsto dal primo comma dell'art. 8 della legge; 2) era illegittima, per violazione dell'art. 8 predetto, la deliberazione di procedere all'espropriazione non soltanto delle aree destinate agli interventi pubblici, ma anche di quelle destinate ad interventi privati; 3) in subordine, l'art. 8 predetto, nella misura in cui avesse legittimato l'espropriazione di aree destinate ad interventi privati, sarebbe stato costituzionalmente illegittimo. Resisteva ai ricorsi il comune di Roma. Il tar adito, sez. I definiva i giudizi con separate sentenze 19 febbraio 1993 nn. 238, 239, 240, 243, 244, 245, 246 e 247 e, ritenuto che era mancato il programma pluriennale delle aree da espropriare e dei termini entro cui effettuare le espropriazioni e che l'art. 8 della legge n. 396 del 1990 non consentiva di espropriare le aree destinate ad interventi privati, accoglieva i corrispondenti motivi di ricorso ed annullava il provvedimento impugnato, dichiarando assorbiti gli altri motivi. Avverso tali sentenze propone separati appelli al consiglio di Stato il comune di Roma, deducendo che l'art. 8 della legge n. 396 del 1990 consente l'assoggettabilita' ad esproprio anche delle aree destinate all'edificazione privata e che, siccome il piu' comprende il meno, la previsione di un programma pluriennale degli espropri comprende la facolta' di accelerare e concentrare i tempi dell'attivita' espropriativa. Resistono i ricorrenti in primo grado, riproponendo i motivi assorbiti. Le domande incidentali di sospensione dell'esecuzione delle sentenze appellate sono state rinviate al merito. All'odierna udienza, uditi i difensori delle parti, i ricorsi sono passati in decisione. D I R I T T O 1. - Occorre preliminarmente disporre la riunione degli appelli, in quanto soggettivamente ed oggettivamente connessi. 2. - La legge 15 dicembre 1990, n. 396, recante interventi per Roma, capitale della Repubblica, stabilisce all'art. 1 che sono di preminente interesse nazionale gli interventi funzionali all'assolvimento da parte della citta' di Roma del ruolo di capitale della Repubblica e diretti, tra l'altro, a "realizzare il sistema direzionale orientale e le connesse infrastrutture, anche attraverso una riqualificazione del tessuto urbano e sociale del quadrante Est della citta', nonche' definire organicamente il piano di localizzazione delle sedi del Parlamento, del Governo, delle amministrazioni e degli uffici pubblici anche attraverso il conseguente programma di riutilizzazione dei beni pubblici". La legge non descrive direttamente il settore della cui edificazione si tratta, ma con le locuzioni "quadrante Est" e "sistema direzionale orientale" rinvia implicitamente allo strumento urbanistico generale del comune di Roma. L'art. 12 delle N.T.A. del P.R.G. del comune di Roma disciplina per l'appunto la zona I, destinata ad insediamenti misti, disponendo che "tale zona e' destinata a ricostituire l'equilibrio del tessuto urbanistico nella parte semiperiferica del quadrante orientale della citta', oltre che lungo la via C. Colombo e nel quartiere EUR, eccetera". Oltre alla via C. Colombo ed al quartiere EUR, la zona semiperiferica del quadrante orientale consta, secondo l'articolo suddetto, dei comprensori di Pietralata, Tiburtino, Casilino e Centocelle ivi sommariamente descritti e la cui esatta perimetrazione e' rimessa ai piani particolareggiati e ad altri strumenti attuativi estesi all'intiero comprensorio, che possono occupare zone finitime. Del resto, l'articolo in questione da' anche (nell'acclusa tabella B) la superficie indicativa di ciascuno dei comprensori, e fornisce dati sulle aree riservate ad interventi pubblici. Non e' contestato che i comprensori siano stati perimetrati, e che gli immobili, di cui si discute, dei ricorrenti dinanzi al TAR siano in essi compresi. L'art. 8 della stessa legge, poi, cosi' dispone: "1. per la realizzazione del sistema direzionale orientale di cui all'art. 1, il comune di Roma delibera un programma pluriennale contenente l'indicazione degli ambiti da acquisire tramite espropriazione e dei termini temporali al decorrere dei quali si intende procedere ad acquisirli, restando l'esecuzione delle espropriazioni subordinata solamente al decorrere dei predetti temporali; 2. gli immobili acquisiti ai sensi del primo comma, eccettuati quelli destinati ad utilizzazioni da parte del comune di Roma o comunque interessati alla localizzazione delle sedi pubbliche, sono dal comune medesimo ceduti, anche tramite asta pubblica, in proprieta' o in diritto di superficie a soggetti pubblici o privati che si impegnano mediante apposite convenzioni ad effettuare le previste trasformazioni ed utilizzazioni. I prezzi di cessione sono determinati sulla base dei costi di acquisizione maggiorati delle quote, proporzionali ai volumi od alle superfici degli immobili risultanti dalle previste trasformazioni, dei costi delle opere, di competenza del comune, per la sistemazione e le organizzazioni degli ambiti in cui ricadono gli immobili interessati; 3. per la realizzazione del sistema direzionale orientale di cui all'art. 1 e' applicabile l'art. 27 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, anche per insediamenti per attivita' terziarie e direzionali". In queste coordinate normative si colloca l'impugnata deliberazione del consiglio comunale di Roma 5 giugno 1991, n. 177, che ha stabilito di procedere all'esproprio generalizzato di tutte le aree comprese nello S.D.O., ivi comprese, quindi, quelle destinate ad interventi privati. 3. - Su tale fondamentale questione la sentenza di primo grado, in accoglimento dei ricorsi, ha ritenuto illegittimo il provvedimento impugnato sulla base del seguente itinerario argomentativo: 1) l'espropriabilita' delle sole aree destinate agli interventi pubblici era - esa soltanto - coerente con l'autonomia del comune di assumere le proprie determinazioni e prescrizioni urbanistiche; 2) l'espropriabilita' anche delle aree destinate agli interventi privati avrebbe dovuto essere disposta esplicitamente; 3) l'opposta interpretazione della norma comporterebbe dubbi di legittimita' costituzionale in riferimento agli artt. 3, 42 e 97 della Costituzione. Il comune di Roma appellante censura l'esposta trama argomentativa della sentenza di primo grado e, al fine di ottenere l'esplicito sovvertimento in appello, fa acquiescenza al rigetto delle eccezioni pregiudiziali di inammissibilita' e di improcedibilita' del ricorso per carenza di interesse da esso proposte in primo grado. Deliberato l'appello ai fini della successiva cognizione delle questioni di legittimita' costituzionale di cui appresso, esso appare sul punto fondato. Le argomentazioni della sentenza di primo grado, invero, non appaiono persuasive. 3.1. - Quanto ad 1), l'argomento della coerenza con il principio dell'autonomia comunale avrebbe pregio, per escludere l'ipotesi interpretativa dell'espropriabilita' generalizzata, se nel paradigma normativo quest'ultima fosse configurata come obbligatoria, mentre proprio l'enunciato su cui ha soffermato la sua attenzione il TAR ("l'indicazione degli ambiti da acquisire tramite espropriazione") rende manifesta la struttura discrezionale della fattispecie, rispetto alla quale l'argomento della coerenza con l'autonomia comunale diventa inconferente. 3.2. - Quanto a 2), l'argomento secondo cui l'espropriabilita' generalizzata delle aree avrebbe dovuto essere disposta esplicitamente sembra risolversi nell'enunciazione d'un criterio di buona tecnica normativa, irrilevante ai fini attuali. Il principio della scelta della formulazione dei precetti legislativi (ed in particolare di quelli contrari al sistema precedente) piu' chiara ed esplicita possibile attiene alla scienza della legislazione, ed alla valutazione politica, cioe' di merito, dell'attivita' del legislatore. Emanata che sia la legge, l'interprete non puo' che studiarne il tenore effettivo, allo scopo di ricercarne, secondo i noti canoni, ed in ultima analisi secondo quello della maggiore probabilita', il significato. 3.3. - Rispetto a 3), in base al criterio ermeneutico della coerenza alla Costituzione, quando di una norma si possono dare due interpretazioni, una conforme ed una contrastante con la Costituzione stessa, si deve effettivamente privilegiare la prima anziche' sollevare la questione di legittimita' costituzionale. E' infatti ragionevole assumere che il legislatore ordinario abbia avuto conoscenza del dettato costituzionale, ed abbia inteso conformarvisi. Ma ove, come nella specie, gli argomenti esposti a sostegno di una delle ipotesi interpretative siano privi di persuasivita' ed anzi sussistano, come appresso si vedra', ben piu' convincenti argomenti contrari, manca la stessa incertezza tra le due possibili interpretazioni e, quindi, la possibilita' del ricorso al criterio della coerenza con la Costituzione. 3.4. - Al contrario, la formulazione letterale del secondo comma dell'art. 8 in esame ("gli immobili acquisiti ai sensi del primo comma, eccettuati quelli destinati ad utilizzazioni da parte del comune di Roma o comunque interessati alla localizzazione delle sedi pubbliche, sono dal comune medesimo ceduti, anche tramite asta pubblica, in proprieta' o in diritto di superficie a soggetti pubblici o privati che si impegnano mediante apposite convenzioni ad effettuare le previste trasformazioni ed utilizzazioni") rende persuasi che gli immobili acquisibili tramite espropriazione appartengono a due diverse categorie: immobili riservati ad interventi pubblici, e destinati alla definitiva avocazione alla mano pubblica; immobili riservati ad interventi privati, e destinati ad essere riassegnati, dopo l'espropriazione, al mercato. Non giova agli appellati dedurre che il secondo comma si riferirebbe alle porzioni di immobili in concreto non utilizzate per gli interventi pubblici, in quanto l'enunciato: "eccettuati quelli destinati ad utilizzazioni da parte del comune di Roma", esprime un concetto di separatezza e non di residualita' delle aree da riassegnare al mercato, che collocherebbe, del resto, la disposizione in un settore dell'esperienza giuridica gia' disciplinato dall'istituto della retrocessione. 3.5. - Ulteriore conferma del suesposto assunto si trae dall'ultimo comma dell'art. 8 piu' volte citato, che estende alla realizzazione del sistema direzionale orientale, anche per insediamenti per attivita' terziarie e direzionali, l'applicabilita' dell'art. 27 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, concernente i piani per gli insediamenti produttivi, che consente l'espropriazione anche della totalita' delle aree a destinazione industriale (Ap., 16 dicembre 1983, n. 26). Ne' quest'ultima disposizione puo' essere intesa, come dedotto dagli appellanti, in modo tale da circoscrivere l'espropriabilita' alle sole aree direzionali, con esclusione di quelle residenziali, in quanto, a parte la collocazione in chiusura anziche' all'inizio dell'articolo, come sarebbe stato logico se si fosse trattato di norma restrittiva, la disposizione impiega una locuzione permissiva ("e' applicabile") anziche' una locuzione vincolante e non preclude, quindi, interventi, non riconducibili all'art. 27 citato, su aree residenziali, secondo le previsioni dei commi precedenti. Tale conclusione non implica, poi, che, essendo le aree destinate ad interventi privati espropriabili in base ai primi due commi, il terzo comma cosi' interpretato, sarebbe inutile, in quanto, a tacer d'altro, il richiamo e l'estensione del predetto art. 27 ne rende applicabile l'ultima parte del sesto comma, in base alla quale ai fini della cessione delle aree espropriate "tra piu' istanze concorrenti e' data la preferenza a quelle presentate da enti pubblici e aziende a partecipazione statale nell'ambito di programmi gia' approvati dal Cipe". Dai lavori preparatori, del resto, si evince che in questo senso veniva intesa dai conditores legis la portata precettiva della menzionata disposizione (cfr. al Senato le dichiarazioni del relatore Golfari nella seduta del 30 ottobre 1990 delle commissioni ottava e tredicesima riunite del Senato e gli ordini del giorno 0/2471/4/ e 0/2471/5/ ottava e tredicesima riunite approvati nella seduta del 20 novembre 1990). 3.6. - Le suesposte conclusioni sono confermate anche da elementi extratestuali. L'art. 8 in esame trae origine da un articolo aggiuntivo 8.02 presentato dal relatore Piermartini nella seduta del 12 giugno 1990 dell'ottava commissione della Camera. Dichiarava il proponente: " .. la proposta originaria dei relatori per cio' che concerne le procedure da seguire per l'attuazione del programma era diretta a riconoscere al comune la piu' ampia possibilita' di scelta in ordine alla via da seguire. Quella appena illustrata risulta invece un tentativo diretto a venire incontro alle esigenze manifestate dalle opposizioni affermando quello dell'esproprio come sistema d'acquisizione delle aree per la realizzazione del sistema direzionale orientale". Successivamente, il principio dell'esproprio generalizzato veniva affermato dal consiglio comunale di Roma, anche in relazione alla legge su Roma capitale in corso di approvazione in Parlamento, con le deliberazioni 25 settembre 1990, n. 757, e 1 ottobre 1990, n. 763. Agli accordi sanciti da dette delibere sulla questione degli espropri si rinvengono richiami nei lavori parlamentari (cfr. dichiarazioni del deputato Mensurati nella seduta del 4 ottobre 1990 dell'ottava commissione). Cosi' come in piu' casi si rinvengono riferimenti espliciti all'esproprio generalizzato (cfr. dichiarazioni dei deputati D'Angelo, Cederna e Sapio nella seduta del 12 giugno, del deputato Sapio nella seduta del 4 ottobre, del relatore Golfari nella seduta del 30 ottobre delle commissioni ottava e tredicesima riunite del Senato). Per le suesposte considerazioni, l'art. 8 va interpretato nel senso di consentire l'esproprio generalizzato delle aree dello S.D.O., anche di quelle destinate ad interventi privati, ed il provvedimento impugnato in primo grado non e' per questo profilo in contrasto con tale disposizione. 4. - Strettamente connesse con la questione interpretativa, cosi' risolta, sono le questioni di legittimita' costituzionale, dedotte dalle parti private con motivi di ricorso assorbiti in primo grado e riproposti in appello e comunque rilevabili d'ufficio. 4.1. - Va anzitutto dichiarata manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 1 e 8 della legge 15 dicembre 1990, n. 396, sollevata dal Consorzio direzionalita' 21 e litisconsorti sotto il profilo della violazione della competenza regionale in materia urbanistica. In base all'art. 1 della legge n. 396 cit., infatti, sono dichiarati di preminente interesse nazionale determinati interventi, tra i quali la realizzazione del sistema direzionale orientale, funzionali all'assolvimento da parte della citta' di Roma del ruolo di capitale della Repubblica. Al riguardo, sembrano ricorrere tutte le condizioni necessarie, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, per giustificare l'intervento del legislatore statale, in quanto: a) il discrezionale apprezzamento circa la ricorrenza e la rilevanza dell'interesse nazionale non appare irragionevole, arbitrario o pretestuoso, tale da comportare un'ingiustificata compressione dell'autonomia regionale (sent. n. 49/1987); b) la natura dell'interesse posto a base della disciplina e', per dimensione o per complessita', anche in relazione all'entita' delle risorse necessarie, tale che una sua adeguata soddisfazione, tenuto conto dei valori costituzionali da rispettare o da garantire, non possa avvenire senza disciplinare profili o aspetti che esorbitano dalle competenze regionali e tuttavia sono necessariamente connessi con il tema oggetto della normativa in questione (sentt. nn. 340 del 1983, 177, 195 e 294 del 1986, 49 e 304 del 1987); c) l'intervento legislativo dello Stato, considerato nella sua concreta articolazione, appare in ogni sua parte giustificato e contenuto nei limiti segnati dalla reale esigenza di soddisfare l'interesse nazionale posto a suo fondamento (sentt. nn. 177 del 1988 e 407 del 1989). 4.2. - Inammissibile per difetto di rilevanza, invece, e' la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 7 della legge 15 dicembre 1990, n. 396, in riferimento all'art. 42, terzo comma, della Costituzione, sollevata dalle medesime parti private sotto il profilo della inadeguatezza dell'indirizzo, in quanto tale norma non trova applicazione nel presente giudizio. 4.3. - Va poi esaminata, sotto il profilo della legittimita' costituzionale, la questione dell'esproprio generalizzato di cui all'art. 8. La questione, va premesso, e' rilevante, in quanto la disposizione in esame e' quella sulla quale si fonda il potere esercitato con il provvedimento impugnato, censurato per illegittimita' derivata dalla illegittimita' costituzionale della norma. In relazione alle indicazioni del p.r.g. di Roma, cui implicitamente rinvia la legge n. 396, la fattispecie dell'esproprio generalizzato incide, come gia' visto, su: a) aree destinate ad interventi pubblici; b) aree a destinazione direzionale; c) aree a destinazione residenziale. Nulla quaestio per le prime, per le quali l'espropriazione non si atteggia qui in maniera diversa dal diritto comune. Per le aree a destinazione privata (direzionale e residenziale), le parti private eccepiscono l'illegittimita' costituzionale dell'art. 8 della legge n. 396 e dell'art. 27 della legge n. 865 del 1971 in riferimento agli artt. 3 e 42, terzo comma, della Costituzione. Presupposto costituzionale dell'espropriazione e', com'e' noto, l'esistenza di motivi d'interesse generale. Ora, per quanto riguarda le aree a destinazione direzionale dello S.D.O. l'esproprio generalizzato non appare dissimile, se non per l'esplicita estensione agli insediamenti per attivita' terziarie e direzionali, dalla fattispecie di cui all'art. 27 della legge n. 865/1971, concernente i piani per gli insediamenti produttivi, di cui questo Consiglio ha segnalato la funzione, da un lato, di stimolo della espansione industriale nel territorio comunale, attraverso la cessione alle imprese interessate dei terreni espropriati, dall'altro, di strumento rivolto ad assicurare, a coerente sviluppo delle piu' generali previsioni del piano regolatore generale e del programma di fabbricazione, un ordinato assetto urbanistico nella zona nella quale dovranno inserirsi i nuovi complessi, ovvero dovranno trovare migliore o piu' adeguata collocazione gli insediamenti gia' esistenti (sez. IV, 23 novembre 1985, n. 566; 23 marzo 1987, n. 168). Del resto, la previsione dell'art. 12 delle N.T.A. del p.r.g. privilegia, qualitativamente e quantitativamente, insediamenti per attivita' direzionali e terziarie e servizi, la cui realizzazione costituisce lo specifico del sistema direzionale orientale e, quindi, la ragion d'essere della valutazione legale di preminente interesse nazionale. Nella peculiarita' di tale contesto, in cui la realizzazione degli insediamenti direzionali appare strettamente connessa, nella prospettiva di contrastare la congestione e la terziarizzazione del centro storico, alla rilocalizzazione delle sedi della pubblica amministrazione, la funzionalizzazione temporale della proprieta' fondiaria realizzata dal programma pluriennale di attuazione e dall'espropriazione sanzionatoria prevista dall'art. 13, sesto comma, della legge 28 gennaio 1977, n. 10, puo' non apparire sufficiente a garantire, anche in relazioe al principio del buon andamento dell'amministrazione, la migliore e piu' tempestiva attuazione delle previsioni di piano regolatore. Per la stessa ragione, inoltre, la peculiarita' della fattispecie e degli interessi pubblici che vi sono correlati rende ragione della mancata previsione di moduli procedimentali obbligatori diretti a favorire la collaborazione dei proprietari delle aree ai fini della realizzazione spontanea delle finalita' del piano, in base ai quali Corte costituzionale ord. n. 31 del 1988 ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 27 della legge n. 865/1971, e dell'adottabilita' immediata ed incondizionata, invece, di strumenti ablatori. Per le suesposte considerazioni, sotto il profilo fin qui esaminato delle aree con destinazione direzionale la questione di legittimita' costituzionale appare manifestamente infondata. 4.4. - Per quanto riguarda le aree con destinazione residenziale, invece, la fattispecie di espropriazione e riassegnazione al mercato di cui all'art. 8 della legge n. 396/1990 non sembra trovare precedenti sostanzialmente analoghi. Non nell'art. 27 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, che, come or dianzi visto, si riferisce agli insediamenti produttivi e tende a favorire l'espansione industriale. Non nella legge 18 aprile 1962, n. 167, e successive modificazioni e integrazioni, che e' diretta a favorire l'acquisizione di aree fabbricabili per l'edilizia economica e popolare. Non nell'art. 13 della legge 5 marzo 1963, n. 246, recante istituzione di un'imposta sugli incrementi di valore delle aree fabbricabili, riconosciuto legittimo da Corte costituzionale, sent. n. 44/1966, in quanto il potere del comune di acquistare o di espropriare aree era ivi preordinato alla formazione di un patrimonio comunale di aree fabbricabili per favorire lo sviluppo edilizio, urbanistico ed economico del territorio. Nella specie, invece, la peculiarita' della fattispecie espropriativa risiede in cio', che: 1) la norma non indica esplicitamente i motivi di interesse generale dell'espropriabilita' anche delle aree con destinazione residenziale; 2) le aree residenziali non restano acquisite alla mano pubblica ne' vanno utilizzate per particolari finalita' solidaristiche o di politica economica, ma vanno cedute, anche tramite asta pubblica, in proprieta' o in diritto di superficie a soggetti pubblici o privati che si impegnano mediante apposite convenzioni ad effettuare le previste trasformazioni ed utilizzazioni. Il comune appellante deduce, a sostegno della legittimita' della disposizione, che essa perseguirebbe i seguenti fini di interesse generale: 1) assicurare alla mano pubblica il costante governo dell'operazione; 2) calmierare i prezzi; 3) conseguire l'autosufficienza economica dell'operazione acquisendo all'amministrazione, sotto forma di differenza tra i costi (rappresentati dall'indennita' di espropriazione) ed i ricavi (dati dai prezzi delle aste), il plus valore determinato dalla realizzazione delle infrastrutture. 4.4.1. - E' da osservare al riguardo che, come avvertito dalla Corte costituzionale (sent. n. 90 del 1966), "il precetto costituzionale, secondo cui una espropriazione non puo' essere consentita dalla legge se non per 'motivi di interesse generale' (o, il che e' lo stesso, per 'pubblica utilita''), e cioe' se non quando lo esigano ragioni importanti per la collettivita', comporta, in primo luogo, la necessita' che la legge indichi le ragioni per le quali si puo' far luogo all'espropriazione; e inoltre che quest'ultima non possa essere autorizzata se non nella effettiva presenza delle ragioni indicate dalla legge". Suscita quindi perplessita' sulla conformita' a Costituzione il fatto che la legge in esame ometta qualsiasi indicazione dei motivi di interesse generale e che, in difetto, possa darsi ingresso a motivi dichiarati dall'autorita' amministrativa o, addirittura, dalla sua difesa in giudizio. 4.4.2. - In ogni caso, rispetto alla pretesa finalita' di assicurare alla mano pubblica il costante governo dell'operazione, l'ablazione delle aree residenziali appare priva di consecuzione logica e di adeguatezza, laddove la salvezza dell'azione amministrativa dalle pressioni indebite dovrebbe essere garantita non da meccanismi come quello ora prescelto, ma da assetti di tipo istituzionale comuni alle numerosissime ipotesi in cui spetti all'autorita' amministrativa di maturare decisioni aventi grande valore economico per gl'interessati attuali o futuri. 4.4.4. - Quanto alla finalita' sub 3), di garantire all'amministrazione locale autosufficienza finanziaria, i casi sono due. O la finalita' e' quella di recuperare soltanto le quote, proporzionali ai volumi o alle superfici degli immobili, dei costi delle opere, di competenza del comune, per la sistemazione e le urbanizzazioni degli ambiti in cui ricadono gli immobili interessati, e allora e' assorbente considerare che lo stesso risultato si consegue nei confronti dei proprietari non espropriati, senza il sacrificio del diritto di proprieta', attraverso il pagamento degli oneri di lottizzazione (cfr. Corte costituzionale, sent. n. 283/1993). Ovvero lo scopo e' quello di lucrare prezzi di cessione "di mercato" - come farebbe pensare l'approvazione degli emendamenti 8.11 e 8.12, che hanno introdotto l'inciso "anche tramite asta pubblica" e sostituito la locuzione "sulla base dei costi" a quella "in misura pari ai costi" (cfr. seduta del 4 ottobre 1990 della ottava commissione della Camera) - e allora questa finalita' entra in conflitto con quella di calmierare i prezzi, che si rivela inconsistente. In quest'ultimo caso, il precetto costituzionale, che prescrive che l'espropriazione deve avvenire per motivi di interesse generale e salvo indennizzo (che non deve necessariamente coincidere con il valore venale del bene), non appare con certezza osservato da una norma di legge per la quale i motivi di interesse generale dell'espropriazione non consistono nell'utilizzazione diretta del bene in se', ma si risolvono nella sua occasionale e strumentale utilizzazione indiretta per il conseguimento, al di la' dell'aumento di valore ricollegabile alle infrastrutture, della differenza tra il (maggior) prezzo della cessione ed il (minor) costo dell'acquisizione ablativa, e cioe', in ultima istanza, trovano fondamento nella misura dell'indennizzo, che dovrebbe invece restar estranea ai presupposti della fattispecie espropriativa. 4.4.5. - Anche l'argomento, dedotto dal comune, della assoluta trasparenza delle operazioni, non sembra del tutto pertinente, ove si consideri: a) che l'attuale formulazione della norma in esame deriva dall'approvazione di un emendamento 8.11., diretto ad aggiungere, dopo la parola: "ceduti", le parole "anche tramite asta pubblica", dopo la rinuncia ad altro emendamento 8.7. che intendeva, allo stesso punto, aggiungere le parole: "mediante asta pubblica" (cfr. seduta del 4 ottobre 1990 della ottava commissione della Camera). La possibilita' di lasciare all'amministrazione di scegliere, di volta in volta o per categorie, fra asta pubblica e trattativa privata potrebbe, al contrario, appare tale trasparenza; b) che, con l'ordine del giorno 0/2471/4 approvato nella seduta del 20 novembre 1990, le commissioni ottava e tredicesima riunite del Senato precisavano che l'asta pubblica rappresentava uno strumento ulteriore a disposizione del comune aggiuntivo a rispetto a quelli utilizzabili ai sensi della legge n. 865 del 1971 per la cessione in proprieta' delle aree espropriate; c) che per i proventi di detta cessione non e' sancito un esplicito vincolo di destinazione, come nell'art. 12 della legge 28 gennaio 1977, n. 10. 4.5. - A cio' si aggiunga che il particolare regime delle aree residenziali dello S.D.O., al di fuori di obiettive esigenze di connessione con quelle a destinazione pubblicistica e con quelle a destinazione direzionale, puo' apparire in contrasto con il principio di eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione in relazione alla situazione degli altri proprietari di aree edificabili con destinazione residenziale. Questo puo' sembrare particolarmente evidente per le aree subito esterne alla previsione urbanistica, la quale dopo tutto non si fonda su aspetti fisici o culturali delle aree prescelte, che siano chiaramente ed obiettivamente distinguibili da quelli delle aree escluse. 4.6. - Per le suesposte considerazioni, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 8, primo e secondo comma, della legge 15 dicembre 1990, n. 396, nella parte in cui consente l'espropriazione anche delle aree con destinazione residenziale incluse nel sistema direzionale orientale, appare non manifestamente infondata in riferimento agli artt. 3 e 42, terzo comma, della Costituzione e va rimessa alla Corte costituzionale. Sulle domande incidentali di sospensione si provvede con separate ordinanze. Ogni altra questione va riservata al definitivo.